L’aiuola che ci fa tanto feroci (Dante, Paradiso XXII 151)

 
 

Così Dante chiama la terra, quasi fosse lei colpevole della ferocia umana. Se l’uomo è canaglia, la terra non ne ha colpa, ma la colpa è dell’uomo e/o di qualche cattivo consigliere (il diavolo). Ai nostri giorni non si può dire propriamente che l’uomo sia un agnello. La Chiesa si affanna a sfornare santi e beati, quasi a compensazione numerica di gaglioffi che ingombrano il pianeta.

Mi sembra di osservare un triste fenomeno: più si impenna il progresso tecnico-scientifico, più il male dilaga. Se osservo giusto, dovremmo dire che l’uomo inventa freneticamente, ma non è capace di gestire eticamente le sue invenzioni. Ho infatti il sospetto che a dar manforte dell’odierna perversità ci stia il cattivo uso di quella peraltro stupefacente e benemerita invenzione che è internet, e diavolerie affini (cellulari). Quando si inventava meno, si era più sicuri di esistere, senza venire accoppati in casa da quelli di casa. Pensieri di cui non sono certo, ma non si è obbligati a dire solo certezze.

C’è una mefistofelica coerenza nella seminagione del male, già praticata sui primi anni di vita. Su astucci e zainetti delle scuole elementari, non più coniglietti e gattini sorridenti, ma energumeni con occhio sprezzante e minaccioso che inoculano precocemente nel bambino il gusto del male. Il messaggio è chiaro: nella vita vince chi è più rapace e violento, e la soglia biografica della malizia si abbassa sempre più.

Il male è sempre stato. Ma l’orgoglio del male è una novità dei nostri tempi e ciò denota una caduta della percezione etica. Che per vivere ci si arrabatti in maniera non propriamente onesta,  mescolando magari necessità a vergogna, con i tempi che corrono è anche comprensibile. Ciò che lascia storditi è il vanto del male, spinto sino all’eroismo della malefatta. Penso a politici e amministratori che sembrano sorridere vincitori, mentre sono portati via dai carabinieri.

Questo è ancora nulla rispetto all’insicurezza che ormai alligna all’interno  delle famiglie stesse, comunque combinate. Che senso ha montare porte blindate a protezione dell’alloggio, quando il criminale cinico e spietato può essere uno della famiglia? Le cronache di questi mesi documentano con ritmo incalzante stragi all’interno della famiglia, per disperazione da perdita di lavoro congiunta a sfratto e, ultimo ritrovato, per amorazzi extraconiugali ai quali i membri della famiglia possono essere di intralcio: dunque meglio liquidarli. E se tutto ciò non bastasse, si aggiungono i metropolitani colpi di mannaia assestati a casaccio per strada, su gente in transito che non centra niente.

Non so se sia conveniente dare risalto mediatico a queste carneficine. Gli ottimisti filosofi medievali dicevano bonum est diffusivum sui (= il bene si auto-diffonde). Ma credo che oggi si debba dire malum est diffusivum sui (= il male si auto-diffonde). Mi chiedo infatti se all’origine del moltiplicarsi di questi episodi, in edizione sempre più feroce, non ci sia una sorta di emulazione, quasi un gareggiare in atrocità, nello sforzo di sorpassare quella precedente. Essendo caduti in picchiata i valori etici tradizionali – che sono poi quelli del buon senso – cervelli poco avvezzi al retto pensiero possono subire il nefasto “fascino” del male. Che cosa non si fa oggi per un pizzico di notorietà purchessia? Se le atrocità di questi miseri tempi fossero un po’ più taciute, forse (il “forse” è di dovere) lo sterminio casalingo non si diffonderebbe.

Ciò che stiamo vedendo e piangendo, dimostra quanto avesse visto giusto il filosofo prussiano Emanuele Kant (1724-1804). Costui aveva asserito che l’esistenza di Dio non può essere dimostrata col cervello, ma in ogni caso lo si deve tirare in ballo per il buon funzionamento del sistema morale. Eliminato Dio, si annacqua la distinzione netta fra il bene e il male e tutto si frulla nel magma dell’opportunità, del vantaggio, della convenienza, dell’utile immediato, reale o presunto che sia. Viene in mente un fiero monito del profeta Isaia (5,20): «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene». La cultura europea, e quella italiana in essa, non fa altro che rottamare Dio e le sue ragioni, e i bei risultati si vedono. Sarei più sicuro del fatto mio, se l’Islam che non rottama Dio, in nome suo non rottamasse i cristiani. In ogni caso, il riferimento al Dio di Gesù Cristo non può che farci del bene, perché non è di certo un Dio barbaro, come lo è un malinteso Allàh. Il guaio è che l’Europa, già cristiana, ora sembra infastidita dal cristianesimo che snobba sempre più, salve vampate di entusiasmo attorno al Papa, più per esaltare l’uomo che non Chi rappresenta.

E il diavolo cosa centra? Ci si ricorda di lui solo per mandare al diavolo qualcuno! Intrufoliamolo qui dentro almeno per nome, messo da parte ogni timore di arretratezza culturale. Osservando la cinica freddezza di  certi montaggi criminali casalinghi, mi è difficile non sentire odore di zolfo. Mi è arduo infatti pensare che cuore e meningi umane da soli possano raggiungere picchi di scelleratezza così raccapriccianti.

Forse se noi preti e uomini di Chiesa la piantassimo lì di appiattire il Vangelo su una dimensione sociologica e  tornassimo a parlare di paradiso, di inferno e di giudizio di Dio, si potrebbe migliorare qualcosa.

«L’aiuola che ci fa tanto feroci». Suprema arguzia dantesca! L’aiuola è la bellezza variopinta di un giardino ben curato. Tale è la Terra nel sistema solare, essendone il pianeta più bello (però non li ho visitati tutti). Lei non è colpevole della malvagità umana, che pure sopporta nella sua rotolante impassibilità. Non c’è quindi connivenza tra la bellezza del pianeta e il mysterium iniquitatis (cfr seconda Lettera ai Tessalonicesi 2,7) che lo massacra. Ecco perché non condivido la cupa ma imponente definizione che ne dà il Pascoli, chiamandola “atomo opaco del male”.  In Dante ravvisiamo ancora quella bellezza “che salverà il mondo” (Dostoevskij). Però Gesù Cristo è arrivato prima a salvarlo, senza aspettare i comodi della bellezza: è solo questione di accettarne concretamente il messaggio. Dunque non tutto è perduto: ci sono ancora spiragli di speranza. Nel Pascoli sentiamo invece un’opacità terribile e disperata (ma letterariamente molto bella).

Una cosa è certa: non siamo più legittimati a fregiarci del detto bonaccione “Italiani, brava gente” !