La solennità del Corpus Domini

A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Concluso il tempo pasquale con la celebrazione della Pentecoste, la liturgia ci presenta ancora due importanti solennità domenicali: la Santissima Trinità, che abbiamo celebrato la scorsa settimana, e la festa odierna del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Cogliamo in questa proposta un segno dell’attenta pedagogia della Chiesa, che ci invita a penetrare sempre più nelle profondità del mistero superando ogni forma di automatismo routinario; ciò è particolarmente vero in questo giorno in cui siamo sollecitati ad andare oltre ogni forma di abitudine, superficialità e distrazione nel nostro modo di partecipare alla messa. Il brano evangelico narra la moltiplicazione dei pani, presentandoci un testo che in Luca rimanda sia al racconto dei discepoli di Emmaus sia all’istituzione dell’Eucaristia. Esso inizia mostrando Gesù che parla alle folle del regno e guarisce chi ha bisogno di cure. Questi uomini e queste donne che si lasciano attirare dalla sua predicazione, e nello stesso tempo si rivolgono a lui perché risolva i loro problemi, non sono forse così diversi da noi quando, portando tutte le nostre aspirazioni ma anche le difficoltà e le fatiche, ci troviamo riuniti in assemblea. E a proposito di questo atteggiamento il Vangelo ci dice che Gesù “li accolse” (Lc 9,11a). Il suo amore, però, non si limita a questo gesto già decisamente significativo. Subito dopo egli si sottrae al buon senso e al realismo degli apostoli che, come fa anche Pietro a Cesarea di Filippo quando rimprovera Gesù (cf Mc 8,32), si sentono sempre in dovere di suggerire al Maestro qualche buon consiglio. Può anche darsi che, bisognosi ancora una volta di autoaffermazione – a cui si accompagna sempre la squalifica degli altri – essi abbiano immaginato in cuor loro che egli era distratto, troppo coinvolto nel suo discorso oppure poco attento alle esigenze concrete della vita. Se questi erano stati i loro pensieri, la reazione di Gesù e il suo invito a dar loro stessi da mangiare alla folla li rimette subito in contatto con la loro fragilità e assenza di risorse. Essi, infatti, non possono far altro che constatare l’impossibilità da parte loro di soddisfare i bisogni della gente. Questa presa di coscienza offre agli apostoli l’occasione per osservare la realtà in modo diverso e rendersi conto che lo sguardo di Gesù non manca di concretezza e realismo ma, al contrario, è più ampio e profondo. Egli, che aveva lottato con il diavolo nel deserto, sa che l’uomo non vive di solo pane (cf Lc 4,4) ma aspira a qualcosa di più alto e trascendente, qualcosa che coincide con quei desideri vitali che il Signore vuole soddisfare. Per tale motivo egli dice ai suoi discepoli di far sedere la gente a gruppi di cinquanta, quasi si trattasse di piccole comunità di credenti riunite in assemblea. Le azioni che seguono pongono Gesù al centro e richiamano in modo evidente l’istituzione dell’Eucaristia: “prendere il pane”, “spezzare”, “dare” sono infatti verbi inconfondibili che non possono non evocare l’ultima cena (cf Lc 22,19). Le dodici ceste avanzate sono il segno tangibile della sovrabbondanza del dono, sovrabbondanza che nel mistero eucaristico si rivela in tutta la sua pienezza. Il pane moltiplicato a dismisura richiama un altro eccesso: quello dell’offerta del Corpo e Sangue del Signore dati per noi, per reintrodurci nella vita di Dio, per renderci suoi figli e fratelli tra di noi. Cogliamo allora l’invito che ci giunge in questa solennità: invito ad aprire gli occhi, per contemplare il mistero presente al di là dei gesti e delle parole, e il cuore per vivere in comunione con i fratelli.