La riscossa di San Giuseppe

San Giuseppe si è imposto lentamente e in ritardo all’attenzione devota della Chiesa. In tutto il primo millennio era presso che ignorato. Non abbiamo infatti significative testimonianze di una diffusa devozione nei suoi confronti. Nel secondo millennio invece, forse grazie anche alla diffusione del presepio ove non poteva mancare, le sue quotazioni appaiono in costante risalita. Non stupisce questa lentezza a focalizzarlo. Il personaggio stesso, così discreto, taciturno se non persino un po’ defilato nei Vangeli ove resta in scena soltanto per fare quello che deve fare, sembra dire: «Per favore, lasciatemi tranquillo». Quando Gesù esce dall’infanzia, di lui si perdono le tracce. E’ menzionato soltanto da quelli di Nazaret, che non riescono a capacitarsi di Gesù, così sapiente e dal miracolo facile, sapendolo figlio in qualche modo di Giuseppe, l’artigiano (Mc 6,3). La traduzione CEI 2008 ha canonizzato il dato devoto, decidendo che fosse falegname. Ma tèkton in greco vuol dire artigiano, lasciando impregiudicato il tipo di artigianato che esercitava: poteva anche essere muratore o carpentiere o ciabattino o sarto. Certamente non elettricista.

I vangeli apocrifi sono un po’ meno spilorci di informazioni a suo riguardo. Peccato però che, per meglio garantire l’illibatezza di Maria sua sposa, lo presentino un po’ in su con gli anni: in quella fascia anagrafica che gli odierni eufemismi po’ bolsi chiamano terza età. Non doveva essere propriamente così, se si è fatto una scarpinata fino in Egitto, andata e ritorno, per mettere al sicuro il Pupo di cui era premuroso custode.

Il culto a san Giuseppe si attizza in oriente verso la fine del primo millennio, onde migra in occidente; se ne impossessano i Francescani, forse perché trovano il personaggio vicino al loro stile, e lo proiettano nei circuiti devoti internazionali, trovando successivamente man forte fra i Carmelitani.

Il papa Sisto IV (1471–1484), visto che la devozione a san Giuseppe aveva giustamente preso piede, ne fissa la ricorrenza liturgica il 19 marzo e lì è rimasta. La sua officiatura liturgica viene guarnita verso la fine del sec. XVII di uno splendido inno (Te, Joseph, celebrent), composto da Girolamo Casanate in metro classico asclepiadeo secondo.

Da allora in avanti si assiste a un costante crescendo giuseppino, che nobilita il rango liturgico della sua celebrazione. Pio IX nel 1870 lo proclama patrono della Chiesa universale, perché pugnasse contro i mali che da ogni parte affliggevano la Chiesa. Pio X ne approva le litanie generosamente indulgenziate. Benedetto XV nel 1919 introduce nel Messale Romano il prefazio proprio di san Giuseppe, tuttora in uso, e fa menzionare “san Giuseppe suo castissimo sposo” nelle acclamazioni dopo la benedizione eucaristica, al seguito delle esultanze mariane. Pio XII nel 1955 tiene a battesimo la festa del lavoro, affidandolo alle mani callose dell’artigiano di Nazaret. Giovanni XXIII, che in secondo nome era Giuseppe, nel 1962 lo installa nel Canone Romano della messa, subito dopo la menzione della sua inclita sposa.

Le acque giuseppine si placano per una cinquantina d’anni e tornano a incresparsi il 1 maggio 2013, allorché il papa Francesco dispone che san Giuseppe sia menzionato nelle altre tre preghiere eucaristiche presenti nell’ordinario della messa (restano escluse – per adesso – quelle in appendice).

Il nome Giuseppe, che ebbe nella cristianità enorme diffusione, è nella Bibbia assai raro: oltre al Nostro vi è anche il patriarca, penultimo figlio di Giacobbe, che divenne nientemeno che vicerè d’Egitto. Il significato del nome è alquanto dimesso: significa “[Dio] aggiunga” (Gen 30,24), perché sua madre, non soddisfatta di uno solo, desiderava un altro figlio che arrivò. Da Giuseppe poi clonano Pinin e Pinot (come da Francesco Cichin e Cicot).

Alberto Albertazzi