IV Domenica Tempo Ordinario

 
 

Vangelo Mc 1,21-28 commento di Luciano Condina

L’esorcismo compiuto da Gesù in sinagoga, a Cafàrnao, è il primo miracolo citato nel vangelo di Marco. Se a Cana la trasformazione dell’acqua in vino è indicata da Giovanni come primo segno della divinità di Cristo, bisogna però osservare che, tecnicamente, il miracolo è compiuto dai servi, i quali agiscono secondo le sue indicazioni, mentre in sinagoga è Gesù stesso a compiere il miracolo.

Non è un caso che la prima manifestazione di potenza soprannaturale avvenga contro il demonio, perché ciò attesta fin da subito il significato della missione di Gesù: sconfiggere il maligno, liberare l’umanità dal suo giogo, l’emblema del combattimento spirituale che ogni uomo deve affrontare, perché «la nostra battaglia non è contro la carne e il sangue, ma contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6,12). Questo è bene ricordarlo ogni volta in cui proviamo odio verso qualcuno che magari ci ha fatto del male, perché egli stesso, a sua volta, è vittima del demonio, vero artefice del male nel mondo.

Gesù, a differenza degli scribi,  «insegnava con autorità» (Mc 1,22): è curiosa questa contrapposizione e va specificata. Gli scribi commentavano la Parola considerando le cento e cento sfaccettature a cui il testo rimandava e ciò produceva una poliedricità di prospettive, un certo relativismo esegetico che, a sua volta, produceva scuole rabbiniche differenti, in cui nessuno poteva dire l’ultima parola. Gesù, invece, non dice “secondo me”, ma definisce, taglia, pontifica. E sono questo parlare, questa autorità a stanare lo spirito immondo, che comincia a gridare.

L’indemoniato è simbolo di tutte le situazioni di schiavitù che mortificano l’uomo, dei vizi che incatenano finché non si fa verità e possono convivere tranquillamente con qualunque prassi religiosa, anche intensa; infatti l’indemoniato ogni sabato andava in sinagoga, ma lo spirito “impuro” rimaneva nascosto. Il terreno dell’impurità è l’ambiguità, il relativismo, il compromesso e solo quando si comincia a fare verità, a chiamare le cose per nome l’impurità viene stanata e può cominciare la separazione del puro dall’impuro. La verità è una persona e il nome che salva è Gesù. Lo sporco si vede solo sotto la luce – anche le microparticelle nell’aria –  ed è sotto la luce di Dio che il male può essere estirpato.

«Taci!», ordina Gesù allo spirito immondo: non si mette a discutere con lui, non dialoga con il male, non gli concede alcuna possibilità di sedurre e giustificarsi. Quante volte troviamo false motivazioni e compromessi al male che non vogliamo estirpare da noi! «Il serpente era la più astuta di tutte le bestie» (Gn 3,1) e se ci mettiamo a discutere con lui, siamo destinati a soccombere, perché la sua intelligenza porterà a confonderci, a distorcere la verità, quanto basta per farci finire fuori strada. Questa dinamica si coglie nella risposta del demonio a Gesù: «Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: Tu sei il Santo di Dio» (Mc 1,24). Quest’affermazione tecnicamente è vera – il demonio è un fine teologo – perché Gesù è la rovina del demonio, ma associa la rovina alla santità di Dio, ossia mette in cattiva luce Dio; in ogni tentazione la via di Dio viene percepita come svantaggiosa, da qui la caduta.

Allora, poniamoci davanti al Signore, che è luce piena, vera e iniziamo a capire la nostra confusione, a stanare il nostro male per tornare a risplendere di Lui.