III domenica di Pasqua Lc 24,35-48

 
 

Il Salvatore, amico nella quotidianità –

a cura di Don Gian Franco Brusa –

Non sembra proprio che fossero dei creduloni gli apostoli, almeno a giudicare dall’insieme dei racconti sulle apparizioni del Risorto, che ce li descrivono ogni volta stupiti, spaventati, incerti. Il capitolo 24 di Luca è particolarmente istruttivo su questo punto: le donne perplesse davanti alla pietra rotolata via dal sepolcro, le loro parole considerate come vaneggiamenti; Pietro pieno di stupore dopo aver visto le bende; i discepoli di Emmaus tristi e sfiduciati, sconvolti dal messaggio delle donne cui non prestano fede. Alla fine, quando ormai diverse testimonianze convergono e il Signore è appare anche a Simone, la realtà della resurrezione è ancora troppo sconvolgente per essere pacifica: «Stupiti e spaventati, credevano di vedere un fantasma» (Lc 24,37).

È bello che nel vangelo sia registrata questa difficoltà di credere, che nel libro della fede compaia il dubbio. Ci sentiamo meno sperduti, noi figli di questo tempo, cresciuti alla scuola del sospetto, se anche gli apostoli, testimoni oculari su cui poggia la tradizione della Chiesa, hanno stentato a credere.  Eppure l’insistenza su questa incredulità non porta a dimostrazione scientifiche, a prove documentarie inconfutabili; sarebbe vano cercare nei vangeli argomenti di questo tipo. Non si dice nemmeno se, alla fine, Tommaso ha messo il famoso dito nei segni dei chiodi; non è questo che fa scattare il riconoscimento e la fede. Non basta che il Risorto si mostri e offra al controllo la materialità del suo corpo vivente: «Toccate e guardate» (Lc 24,39). Occorre piuttosto ricreare la condivisione di gesti semplici e quotidiani, costruiti nella paziente consuetudine dell’amicizia durante gli anni vissuti insieme, dalle prime vocazioni in Galilea l’ultima cena. Gesti semplici come spezzare il pane nella casa di Emmaus, arrostire i pesci sulla spiaggia del lago di Tiberiade o chiedere «Avete qui qualche cosa da mangiare?» (Lc 24,41).

Dura trent’anni la vita nascosta di Nazareth e tre il ministero itinerante in cui la gente può confondere Gesù con uno dei tanti rabbì che affollavano la Palestina, mentre l’evento unico, che sconvolge tutto, si compie in soli tre giorni. Ebbene, quello che conta non è tanto il privilegio – di pochi – di aver assistito all’evento salvifico, quanto la possibilità – di tutti – di riconoscere il Salvatore come un amico, nella condivisione della mensa. L’allusione eucaristica è chiara, ma per noi, discepoli di questo tempo, non è l’unica. Gesù risorto è l’amico che ci chiede: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?» (Gv 21,5); è il fratello che invitiamo alla nostra mensa: «Resta con noi perché si fa sera»; (Lc 24,29); è vicino a noi nella semplicità quotidiana, molto più di quanto pensiamo: «Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento» (Sal 4,8).

Andiamo quindi con gioia alla Pasqua settimanale, per riconoscere il Risorto allo spezzare del pane e attingere forza e grazia per vivere la carità. Sappiamo anche noi gioire per il Signore Risorto.

Buona domenica