Effetto 75

 
 

a cura di Mons. Alberto Albertazzi

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L’effetto 75 anni che mi aveva fatto interrompere lo stillicidio mensile di questo foglio si è stemperato. Mi accorgo che non sono ancora morto. Si è parlato di un fantomatico ministro dell’economia di anni 82, oltre a un’autocandidatura a premier di pari età: quindi se esistono questi intramontabili, posso anch’io sparare ancora qualche cartuccia a livello ben più basso, e riapro la stagione di questo foglio. Ho avuto per giunta varie sollecitazioni a non piantarla lì. Ringrazio per la stima quanti mi hanno lavorato ai fianchi per aprire un nuovo ciclo, che nella grafica è uguale al precedente. In fondo, se ricostruisco giusto, ho saltato solo due mesi: aprile e maggio. Quindi più che di chiusura e riapertura, sembra meglio parlare di interruzione dovuta al trucco psicologico dei settantacinque anni che, senza prenderci in giro con le solite nomenclature a base di terza e quarta età, restano un traguardo biografico di tutto rispetto.

Il problema resta sempre quello di trovare un argomento da mettere sul tavolo. Credo proprio che questa volta, per scaldare i muscoli, dovrò menare un po’ il can per l’aia, cercando di riempire il foglio anche con espedienti tipografici, tipo generose spaziature. Ma un argomento di prima grandezza mi è suggerito da una recente ricorrenza liturgica: la domenica della Santissima Trinità. Mi pare che ne parliamo troppo poco, pur essendo uno dei due misteri principali della nostra fede. L’altro è “incarnazione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo”. Si tratta di due misteri in senso diverso. Quest’ultimo è mistero nel senso primitivo della parola, come veniva usata nella letteratura cristiana antica, quando con tale termine s’intendeva un intervento divino nelle faccende umane, tanto che gli scrittori latini usano indifferentemente il termine mysterium e sacramentum. Se il Figlio di Dio si fa uomo, dimostrando di essere vero Dio e vero uomo, l’intrufolamento del divino nell’umano è evidente.

La Trinità è invece mistero nel senso che gli scrittori medievali hanno dato al termine e che si è sostanzialmente mantenuto fino a oggi: ossia un enunciato che supera il modico comprendonio umano. Ma una delle doti del cervello umano è quella di non arrendersi facilmente neppure dinanzi al mistero, che persino sembra divertirsi a scandagliare, almeno quanto basta per ritenerlo non assurdo. Ecco allora i magni cervelli del secondo medioevo – all’incirca dall’undicesimo secolo in su – che si appassionano al mistero della Santissima Trinità e lo trivellano con attrezzatura filosofica desunta dal “maestro di color che sanno” (1)

Fermo restando che Dio è uno solo e che in lui sussistono tre persone, come avevano già accertato Padri (2) della Chiesa e antichi Concili (3), i cervelloni medievali cercano di esplorare le modalità di esistenza (dottamente si direbbe di sussistenza) di queste tre persone, nei rispettivi rapporti e senza sconfinare dall’unità della natura divina.

E’ utile un’indagine del genere? Concretamente è stata più utile la scoperta della luce elettrica (4), ma è ammirevole, se non persino commovente, la passione con cui questi “spiriti magni” (5) si sono sforzati di adeguare i congegni divini al comprendonio umano, sempre più stimolato quanto più arduo è il suo oggetto di ricerca.

Ecco allora che in Dio si intravvedono due processioni (6): del Figlio dal Padre e dello Spirito Santo dal Padre dal Figlio, presi come unico principio. Quattro relazioni che mettono in collegamento le persone divine, atteggiate in eterno e mai annoiato dialogo fra di loro. E così avanti. Con una cautela però: quando Dio è curiosato nella sua vita intima, le persone compaiono come dialoganti fra loro. Quando invece Dio è indagato nella sua azione fuori di sé – esempio la creazione – le persone perdono significato e consistenza, essendo l’azione opera della natura divina, comune a tutte e tre le persone, sulla quale per così dire si livellano. Come dire che fanno un patto d’intesa per compiere ciò che hanno in mente (7).

E’ ovvio che in questo linguaggio, come è un po’ nel mio stile, ho banalizzato la faccenda, nella speranza di farmi capire un po’ di più. Dio è uno solo come diciamo nella professione di fede: «Credo in un solo Dio». Uno solo, ma non solitario, perché al proprio interno, nel mistero della sua assoluta clandestinità, è affiatatissima compagnia di tre persone, uguali e distinte, come concettualizzava il catechismo tradizionale, prima che spuntassero gli esperienziali catechismi sessantottini oggi di moda.

Sapere qualcosa di più su Dio, se davvero ci interessa e lo amiamo, pur consapevoli di rimanere lontanissimi dal suo ritratto, non spiace: forse ce lo rende più familiare e ci agevola il rapporto con lui. La fede resta fuori discussione, come umile adesione a ciò che Dio stesso di sé ci ha rivelato nella Bibbia. Ma se il ragionamento può darci una mano almeno fin dove arriva, perché non farvi ricorso, cercando vertiginosamente di sublimarlo nella contemplazione?

Il Nuovo Testamento di Dio ci dice tre cose alquanto suggestive. La prima: «Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5). Notiamo il puntiglio: non basta dire che Dio è luce, ma si rafforza il concetto aggiungendo che in lui non c’è tenebra alcuna. A definire il tipo di luminosità ci pensa Dante in un passo da me tanto citato che, per non essere noioso, relego in nota (8).

La seconda: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Un amore che prende l’iniziativa: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 1,10). A noi tocca corrispondere a questa iniziativa amante al meglio delle nostre possibilità (cfr Dt 6,4-5).

La terza: «Dio è spirito» (Gv 4,24; 2 Cor 3,17), ossia realissimo ma immateriale. Ecco perché i materialisti non riescono a capacitarsene. Si intravvede dunque anche in queste tre connotazioni divine una sorta di trinità alla rovescia: un po’ come se lo spirito sia il Padre, la luce il Figlio (cfr Gv 8,12; 12,46) e amore lo Spirito Santo.

E’ stupefacente come il pensiero umano abbia cominciato a ragionare dai tetti in su, sguazzando nella metafisica, invece di cominciare dai tetti in giù codificando una fisica scientifica che è arrivata con molto ritardo: i vari Newton, Galilei, Volta, Marconi, Ferraris, Avogadro. Non sono uno studioso di fisica ma un italiano e mi vengono in mente soprattutto gli italiani.

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1 Aristotele, così etichettato da Dante (Inferno IV 131).

2 Titolo venerando attribuito agli antiche scrittori ecclesiastici.

3 Nicea del 325 e Costantinopoli del 380.

4 Ma non dell’Enel che mi ha mandato doppie fatturazioni per un anno.

5 Ancora Dante (Inferno IV 119) ma connotando altre categorie.

6 Diverse da quella del Corpus Domini.

7 Detto in latino, secondo un assioma allora ricorrente: in Deo omnia sunt unum ubi non obstat reletionis oppositio (= in Dio tutto è unità ove non intervengono opposte relazioni).

8 Paradiso XXX 40-42: «Luce intellettual piena d’amore, / amor di vero ben pien di letizia, / letizia che trascende ogni dolzore».