I domenica di quaresima Mt 4,1-11

 
 

–  Affrontiamo le tentazioni come Gesù –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

Subito dopo il battesimo Gesù va a scaldarsi i muscoli nel deserto e ci rimane quaranta giorni e quaranta notti. Sembra persino una “fresconata” (sit venia verbo) l’annotazione dell’evangelista «alla fine ebbe fame». C’è da chiedersi come avrebbe potuto non averla, se non addirittura come abbia fatto ad arrivare alla fine. Spunta il tentatore e scocca la prima scontatissima tentazione, prendendolo appunto per la fame: «Se tu sei figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Tentazione subito rispedita al mittente con un colpo di Deuterenomio (8,3).
Gesù alza il tono e i due si mettono a sfiorettare a fendenti di Sacra Scrittura. Anche il diavolo – ormai chiamiamolo col suo nome – la conosce bene, almeno per ragioni tattiche. Se ben ricordo Thomas Mann scrive nel suo Doctor Faustus che il diavolo è il massimo teologo. Perciò Belzebù supporta la seconda, goffissima, tentazione brandendo il salmo 90,11: gettati giù, gli angeli ti saranno paracadute. Non dice propriamente così ma quasi. Chissà perché avrebbe dovuto buttarsi giù? Gesù comincia a spazientirsi e cerca di tacitarlo: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
Le prime due tentazioni decollano col tono della scommessa «se sei Figlio di Dio». Il diavolo presume millantata divinità e vuole fare emergere la bufala. E Gesù, in risposta alla seconda si proclama solennemente «Signore Dio tuo». Gesù è talmente Dio da essere Signore anche del diavolo.
La terza tentazione è la più insolente. Dopo un’occhiata panoramica sui regni di questo mondo e la loro gloria, satanasso ha la sfrontatezza del baratto: «Ti darò tutto ciò che stai vedendo, se gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Abbiamo un’implicita demonizzazione della politica! Gesù, irritato, gli scaraventa sul muso il primo comandamento, previa intimazione di sfratto: «Vattene, Satana, sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Gesù così scorna il diavolo, battendolo tre a zero. Visto che siamo partiti dal pane, possiamo dire che il diavolo abbia trovato pane per i suoi denti.
La vicenda è molto istruttiva e dobbiamo essere grati a Matteo e Luca che ce l’hanno tramandata nella sua consistenza dialogica. Si apprende dalla narrazione la tattica per vincere la tentazione: tacitarla da subito, stroncarla sul nascere. È la tattica mancata ai nostri progenitori, Adamo ed Eva, troppo inesperti per dribblare il sibilo serpentino. La loro ingenuità sta nell’avere accettato il dialogo, poveretti. Ma se noi fossimo stati nei loro panni (che non avevano) non avremmo fatto meglio. Si vince solo conoscendo l’avversario e le sue tattiche, oppure evitando sdegnosamente la sfida. Gesù è riuscito vincitore perché munito di ambo gli accennati requisiti. San Benedetto, nel prologo della sua Regula Monasteriorum (I, 28) raccomanda di prendere i parvulos  cogitatos eius  (“cuccioli mentali” del diavolo, ossia le tentazioni) e di scaraventarli contro la roccia che è Cristo. Il primo nella folla dei patroni d’Europa – San Benedetto per l’appunto – così scrive sotto la suggestione del salmo 136,9, che termina scagliando una terribile beatitudine contro Babilonia: «Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra».

Se non si vuole che la tentazione lieviti in peccato, bisogna abortirla: unico aborto consentito al cristiano. Di diverso parere è Oscar Wild che insegnava rassegnato: «Se vuoi liberati da una tentazione, hai solo da assecondarla». Metodo certamente efficace e accomodante. Ma alla fine lascia l’amaro in bocca…