Domenica in Albis

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Gesù è risorto, ma tra la realtà dell’avvenimento e la consapevolezza che di esso hanno i possibili testimoni esiste una distanza; essa appare talora incolmabile, come per le guardie, altre volte minima, nel caso di Giovanni. Le prime erano state spettatrici di un fenomeno straordinario eppure, per interesse personale, avevano negato la verità; al discepolo amato, invece, era stato sufficiente vedere i teli e il sudario per credere immediatamente (cf Gv 20,8). Tutte le altre reazioni descritte nei vangeli si collocano su un continuum di stupore e paura, di slancio e timore: una realtà ambivalente che ci viene presentata anche dal brano di questa domenica. I discepoli si trovano insieme: sono ancora la comunità di Gesù, la sua morte non li ha dispersi; essi, tuttavia, se ne stanno a porte chiuse “per timore dei giudei”. Quella stessa paura che era stata la causa della loro codardia al momento della passione si ripresenta qui nello stesso modo: alla chiusura delle porte del luogo dove si trovano corrisponde, infatti, quella del cuore, un cuore blindato dal bisogno di autoproteggersi. E tuttavia al Risorto basta un nulla, forse anche il semplice fatto di saperli insieme, piccola comunità e non individui dispersi, per oltrepassare le barricate del luogo e del cuore e apparire in mezzo a loro. Ed ecco che il dono della pace e il soffio del suo Spirito hanno il potere di far loro superare ogni paura, ma soprattutto di mettere in moto quel dinamismo interiore che li farà aderire, ormai senza alcuna incertezza, alla verità del grande mistero che ora accolgono pienamente. È nel cuore di ognuno, infatti, che il Signore deve risorgere ed è solo attraverso l’interiorizzazione di questa verità che la Pasqua potrà esprimere tutta la sua forza travolgente. Tra i dodici non è però presente Tommaso. Il Vangelo non spiega il motivo di tale assenza, ma di lui in passato Giovanni aveva scritto che era chiamato Didimo, ovvero “gemello”. Gemello nostro, senza dubbio, che nella sua abitudine alla duplicità riflette tutte le nostre ambivalenze. Egli era forse il più coraggioso dei discepoli, colui il quale, al momento della scomparsa di Lazzaro, li aveva esortati ad andare a morire con Gesù (cf Gv 11,16). Ora, però, nel momento in cui è confrontato con la misteriosa realtà di una vita più forte della morte, a essa sembra resistere; ed è probabilmente proprio questo suo contrastare la verità della Pasqua che ce lo rende simile, gemello. Non ritroviamo forse anche dentro di noi gli stessi dubbi, l’identica difficoltà a credere che la vita prevale sulla morte, la medesima chiusura del cuore, incapace di aprirsi alla fiducia e alla speranza? Di fronte all’ostinazione e alla titubanza di Tommaso, Gesù reagisce in modo inatteso e commovente: non lo rimprovera per la sua incredulità ma scende al suo livello, ne accoglie il bisogno di vedere e toccare. Diversamente da quanto la tradizione ci ha indotti a pensare, Tommaso non passa all’atto. Egli non ne ha più bisogno. Il Signore gli si è fatto così vicino, ha accolto con così grande disponibilità le sue riserve e le sue fatiche che le prove non paiono più necessarie, ma egli può solo aderire al suo Dio e Signore senza opporgli resistenza e con fede sincera e totale.