Domenica della SS. Trinità Gv 3,16-18

 
 

– Fede pasquale, cristologica, trinitaria –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

La formula trinitaria classica – quella del segno di croce, per intenderci – pur documentata in Mt 28,19, non nasce a tavolino. Gesù  nella sua rivelazione, segue un’altra didattica: non ci spiattella il Dio Uno e Trino nel suo intimo congegno vitale, ma lo costruisce pezzo per pezzo, sotto l’intermittenza delle occasioni. Il vangelo odierno ne è la prova: inopinatamente Gesù comincia a far sapere che Dio ha un Figlio unigenito, da lui mandato nel mondo per offrire la vita eterna a chi ci crede; e lo ha mandato non per condannare ma per salvare. A Gesù interessa più l’azione che l’essere. Non spiega come Dio sia “strutturato”, ma che cosa fa in nostro favore. E così dicendo fornisce tangenzialmente alcuni elementi per curiosare in Dio.
Cominciamo a sapere proprio questa domenica che in Dio esistono dei rapporti che, per intenderci, potremmo chiamare di paternità e figliazione. Altri “segmenti trinitari” si incontrano più avanti nel vangelo di Giovanni: quando nell’ultima cena Gesù dice a Filippo: «Chi ha visto me ha visto il Padre… non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» (Gv 14,9-10). È roba di qualche domenica fa. E un po’ più avanti spunta anche lo Spirito Santo, proveniente dal Padre e dal Figlio (Gv 14,16-17), per arrivare infine a un’ostinata dichiarazione di unità fra sé e il Padre (17,21-22).
Slanci di rivelazione così incuriosenti hanno sfrizzolato i massimi cervelli, i quali hanno formulato quello che mi piace chiamare il “teorema trinitario”. Eccolo: «Esiste un solo Dio in tre Persone uguali e distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo». Dio, se vuole essere se stesso, ha bisogno di essere così. Leggiamo infatti nella prima Lettera di Giovanni che «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). L’amore è essenzialmente scambio, diversamente degenera in un mostruoso “narcisismo teologale”, inammissibile in Dio. Oppure, per poter scatenare il suo amore su qualcuno, Dio sarebbe costretto a creare: ma un Dio che patisce costrizioni per inverarsi, non sarebbe più Dio. Lasciamo perdere questi teologumeni e riassumiamo dicendo che l’essere trinitario di Dio è garanzia del suo amore e viceversa.
Alla consapevolezza trinitaria si giunge anche per un altro itinerario biblico, costituito da professioni di fede su ampie falcate neotestamentarie. La fede cristiana originaria è essenzialmente pasquale, come scrive Paolo ai Corinti: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, e apparve a Cefa e quindi ai dodici» (1 Cor 15,3-5). È chiaro che con una vicenda del genere Gesù appare personaggio un po’ superiore al ragionier Fantozzi; e allora la fede, nata pasquale, effettua un approfondimento cristologico in un dialogo fra Gesù e Pietro, nel quale l’ex pescatore individua nel Maestro il Figlio del Dio vivente (Mt 16,16). Se Dio ha un Figlio, alla fede viene voglia di esplorarne i meandri e acquisisce la consapevolezza trinitaria, esternata da Gesù nel precitato Mt 28,19, cui fa sussiegosa eco Paolo nel saluto terminale della seconda Lettera ai Corinti (13,13).
Riassumendo: la fede pasquale clona le fede cristologica, che a sua volta clona la fede trinitaria. È un crescendo in atmosfera soprannaturale. I teologi nei secoli successivi ci hanno preso gusto e hanno confezionato concettualmente un’autentica “anatomia trinitaria”, a mo’ di inventario divino organizzato in divertita progressione numerica. Eccola:  esiste 1 solo Dio, nel quale ci sono 2 processioni (quella del Corpus Domini non c’entra), 3 persone; 4 relazioni, 5 nozioni.
Tutto ciò non è patrimonio di fede, la quale si accontenta di aderire a un solo Dio in tre Persone uguali e distinte. Il triangolo equilatero è un classico “teologal-geometrico”.  La fede è centrale nel vangelo odierno, seppure non spiccatamente mirato verso il dato trinitario. Dal breve discorso a Nicodemo si evince che per Gesù la fede non ha prevalente consistenza teoretica, ma salvifica: indispensabile dunque per il conseguimento della vita eterna.