I domenica di Avvento Mt 24,37-44

 
 

– Guardiamo in avanti con Gesù –

Da questa settimana, con l’inizio del nuovo anno liturgico, è monsignor Alberto Albertazzi a commentare il Vangelo della domenica. Lo accogliamo con piacere, ringraziando contemporaneamente monsignor Sergio Salvini per averci accompagnati spiritualmente dall’Avvento 2015 sino alla solennità di Cristo Re del 2016.

* * *

Questa domenica leggiamo uno stralcio dell’ultimo dei cinque grandi discorsi che scandiscono il Vangelo di annata, quello di Matteo. È definito tecnicamente «discorso escatologico», dal greco eschatos, che significa ultimo. È il discorso nel quale Gesù spinge lo sguardo in avanti, con enigmatiche anticipazioni degli ultimi tempi. In soldoni, potremmo sintetizzarlo così: questo gran carrozzone del cosmo, e in esso la terra col «mal seme d’Adamo» (Dante), andrà avanti come sempre per lunghi tempi, ripetendo gli stessi fenomeni, subìti (carestie, pestilenze, terremoti) e prodotti (guerre, rivoluzioni) dal più squalificato di tutti i mammiferi, l’uomo. Ma un bel giorno la fine arriverà.

Non è neppure il caso di immaginare chissà che cosa e in che modo. Basta che un asteroide sbagli strada e venga a sbattere violentemente contro il nostro pianeta. Il vangelo di questa domenica ci fornisce un ammonimento di validità perpetua: «Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà». E in questo troviamo una prospettiva dell’Avvento forse poco pensata.
L’Avvento nasce guardando in avanti. È nato in Francia, nel VI secolo, con l’intenzione di orientare il popolo cristiano verso la seconda e definitiva venuta di Gesù Cristo, per giudicare i vivi e i morti (cfr Mt 25,31-46). Era dunque alla conclusione dell’anno liturgico.

Ma siccome di quella venuta poco si sa, si è preferito spostarlo all’inizio, rendendolo in tal modo propedeutico al Natale. Una nota pittoresca, persino umoristica, in questa pagina evangelica, è l’accenno alla spensieratezza umana: ai tempi di Noè «mangiavano e bevevano, prendevano moglie, prendevano marito» – tutte cose naturalissime – senza accorgersi dell’incombente catastrofe planetaria del diluvio universale: mega-alluvione che fa morir dal ridere per le nostre attuali, seppure dolorosissime e devastanti. Morale della favola, si sono salvati solo Noè e i suoi famigliari.

Termina il nostro passo con una ribadita avvertenza: «Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Siamo nella logica di «uomo avvisato, mezzo salvato», condita con un pizzico di tremarella.

Dobbiamo però dare anche i connotati a questo Figlio dell’uomo e perché si chiami così. Non ci vuol molto per capire che si tratta di Gesù Cristo. Di per sé, figlio dell’uomo vuol dire semplicemente uomo. È ovvio, infatti, che da una donna, femmina dell’uomo, non può nascere un gatto. Era un modo di dire semitico non rarissimo nella Bibbia, specie nel profeta Ezechiele, per indicare individui della nostra specie.

A un certo punto questo figlio di uomo prende a giganteggiare in una visione sovrumana notificata dal profeta Daniele (7,13), il quale vide la corte celeste con un Antico di giorni (Dio) attorniato da angeli svolazzanti e, accanto a Lui, «uno simile a un figlio di uomo» al quale vengono consegnati “«potere, gloria e regno» eterni e inestinguibili.

Lo scialbo «figlio di uomo» originario fa, dunque, un salto di qualità verso dimensioni sovrumane, tonificato per giunta dall’atmosfera satura di divinità, per un attimo respirata dallo stordito profeta Daniele. Siamo dunque a un passo da chi è simultaneamente figlio dell’uomo e Figlio di Dio, ossia Gesù Cristo.