Domenica 14 Settembre 2014 – Festa Esaltazione della Croce Gv 3,13-17

 
 

«Albero fecondo e glorioso»

Esaltazione della Croce
Gv 3, 13-17

a cura delle Clarisse di Santa Chiara in Roasio S.Maria

Oggi la croce non è presentata più nel suo aspetto di sofferenza, di dura necessità della vita o anche di via per cui seguire Cristo, ma nel suo aspetto glorioso, come motivo di vanto, non di pianto.
Diciamo anzitutto qualcosa sull’origine della festa. Essa ricorda due avvenimenti distanti tra loro nel tempo. Il primo è l’inaugurazione, da parte dell’imperatore Costantino, di due basiliche: una sul Golgota e una sul sepolcro di Cristo, nel 325. L’altro avvenimento, risalente al VII secolo, è la vittoria cristiana sui persiani che portò al recupero delle reliquie della croce e al loro ritorno trionfale a Gerusalemme. Con il passare del tempo, la festa però ha acquistato un significato autonomo: è diventata celebrazione gioiosa del mistero della croce che, da strumento di ignominia e di supplizio, Cristo ha trasformato in strumento di salvezza.
Ci sembra importante, però, richiamare la paradossalità della salvezza, testimoniata dall’ambivalenza dell’innalzamento (croce e gloria, morte e vita), in cui è massima la coincidenza dell’amore e del dolore. Certamente non è scontato riscoprire l’amore di Cristo che lo conduce a prendere su di sé il peccato con tutte le sue conseguenze (sofferenza, morte, separazione dagli uomini e abbandono di Dio); e soltanto dopo uno scontro mortale e vittorioso può donare a noi la sua stessa vita! Questo non è e non deve essere considerato solo un racconto, una narrazione, un ricordo… sarebbe come avere fede solo quando va tutto bene!
Non è un caso che nel brano dell’evangelista Giovanni di questa domenica si evinca proprio un’insistenza sull’importanza della fede, perché il Figlio dell’uomo è il luogo ideale della presenza di Dio.
* * *
Quel mistero di abbassamento e di rivelazione che sarà compiuto sulla croce, quando Gesù sarà innalzato nella gloria è a favore di chi crede in Lui per avere la vita eterna (cfr. v. 15 ).
Gli uomini potranno allora comprendere l’evento scandaloso e sconcertante della salvezza per mezzo della croce e guarire dal proprio male, come un tempo gli ebrei guarirono dai morsi dei serpenti velenosi nel deserto, guardando il serpente di bronzo che Mosè aveva fatto innalzare quale segno di vita (Nm 21, 4-9). L’utilizzo del simbolismo del serpente di Mosè non solo si ricollega all’interpretazione giudaica superandola, ma afferma la verità che la salvezza è sottomettersi a Dio, è rivolgere lo sguardo a Cristo crocifisso, vero atto di fede che comunica la vita eterna.
Per Giovanni, vita eterna non indica solo la vita futura ma una realtà già in atto e operante per coloro che credono. La rinascita quindi dell’uomo che vive nel «deserto» della vita, minacciato dalla morte, è legata alla croce, perché questo è il luogo dove Gesù manifesta al mondo la sua totale consegna e la sua unione amorosa col Padre: proprio con il sacrificio della vita esprimerà l’amore che Dio nutre per ogni uomo.
* * *
Non dimentichiamo quanto suggeriva già l’allora cardinale Joseph Ratzinger sul segno della croce: «Segnare se stessi con il segno della croce è un sì visibile e pubblico a Colui che ha sofferto per noi; a Colui che nel corpo ha reso visibile l’amore di Dio fino all’estremo; al Dio che non governa mediante la distruzione ma attraverso l’umiltà della sofferenza e dell’amore, che è più forte di tutta la potenza del mondo e più saggia di tutta l’intelligenza e di tutti i calcoli dell’uomo. Il segno della croce è una professione di fede: io credo in Colui che ha sofferto per me ed è risorto; in Colui che ha trasformato il segno dello scandalo in un segno di speranza e dell’amore presente di Dio per noi. La professione di fede è una professione di speranza: credo in Colui che nella sua debolezza è l’Onnipotente».