Ascensione del Signore

A cura della Fraternità della Trasfigurazione
L’ascensione è un mistero dalle innumerevoli sfaccettature che, di conseguenza, un’unica narrazione non può esaurire. Questo è forse uno dei motivi delle evidenti incongruenze tra la prima lettura e il Vangelo che, diversamente dagli Atti degli Apostoli, non colloca l’avvenimento dopo 40 giorni ma la sera stessa di Pasqua. Nel momento immediatamente successivo al ritorno dei discepoli di Emmaus a Gerusalemme, quando questi ormai si erano riuniti con gli Undici e i loro compagni, Gesù si presenta in mezzo a loro. Qui fa riferimento alla Scrittura come alla fonte a cui risalire per trovare il senso di tutto quanto è accaduto e affida loro il compito di essere suoi testimoni; subito dopo li rassicura rispetto alla loro capacità di assumere questo arduo incarico, garantendo loro l’invio di Colui che li sosterrà nel loro cammino: lo Spirito Santo. A questo punto assistiamo a un totale cambiamento di scena, una vera e propria dilatazione dell’orizzonte; non ci troviamo più, infatti, nella stanza dove i suoi sono riuniti, ma “verso Betania”. È Gesù stesso a “condurli fuori”, ultima fase di quell’esodo di cui possiamo percepire la presenza come un filo rosso che ha attraversato tutta la vita dei discepoli dal primo momento in cui lo hanno seguito. Un esodo che ha spinto Pietro e gli altri a lasciare casa, beni e affetti, ma che si è soprattutto manifestato come trasformazione interiore il cui culmine è stato raggiunto con la Pasqua e in quanto è avvenuto in seguito, come viene ben descritto negli Atti degli Apostoli. Il Signore si stacca così dai suoi e viene portato in cielo: la sua presenza non sarà più tangibile a coloro che, anche dopo la resurrezione, avevano potuto toccarlo e mangiare con lui. D’ora in poi egli abiterà negli ampi spazi trinitari, nel cielo della comunione con il Padre e lo Spirito. Ogni distacco da una persona amata provoca dolore e tristezza; nel racconto lucano, però, non troviamo traccia di sofferenza: l’evento straordinario della risurrezione ha educato i discepoli a credere senza riserve alla sua parola e, dunque, anche alla promessa di non lasciarli orfani (cf Gv 14,18), pronunciata da Gesù al momento della separazione. Essi sanno che il Maestro è andato a preparare loro un posto nella casa di suo Padre (cf Gv 14,2) perché anch’essi possano stare dove dimora lui (Gv 14,3). Lo Spirito che egli manderà su di loro li aiuterà poco per volta a comprendere che quel cielo verso cui egli è andato non è una realtà distante che li allontana dal loro Signore, ma un luogo interiore in cui essi possono trovarlo sempre presente, lasciarsi da lui guidare e scoprire in ogni istante la forza del suo amore personale, intenso e profondo. Anche noi, dunque, possiamo lasciarci elevare in alto per vivere con Gesù nel suo cielo, proprio come scrisse Teresa di Lisieux a conclusione del suo libro autobiografico “Storia di un’anima”, le cui ultime parole sono “m’innalzo a lui con la fiducia e con l’amore”. Fiducia e amore sono atteggiamenti accessibili a ogni cristiano, che hanno tuttavia la forza di aprirci le porte del cielo e farci condividere la vita di e con Gesù, esperienza che può colmare anche noi di gioia, proprio come accadde ai discepoli dopo la sua ascensione.