6ª domenica t.o. Mt 5,17-37

 
 

La giustizia di Dio è amore che perdona –

a cura di Don Luciano Condina –

Il lungo vangelo di questa domenica è tratto dal discorso della montagna. Non c’è lo spazio per poter anche solo sfiorare i numerosissimi temi presenti, dunque mi soffermo solo su uno. «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20). Esiste dunque una giustizia che non è sufficiente a varcare la porta stretta che dà accesso al regno dei cieli. Chi lo abita? Coloro che sanno amare e vivono di amore. Qual è allora il limite della giustizia dei farisei? È la giustizia intesa secondo il mondo, ossia il categorico rispetto della legge. «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33), esorterà Gesù al capitolo successivo. Dunque vi è una giustizia peculiare del regno di Dio, diversa da quella degli scribi e dei farisei, i quali sostengono quella legale, che il mondo considera un valore.

Tra la giustizia del mondo e quella del regno dei cieli c’è un abisso, poiché la seconda prevede il perdono, un atto assolutamente inappropriato per la prima, in quanto significa violare il concetto che il colpevole debba pagare. La giustizia del regno di Dio non punta a far scontare una pena, ma a “salvare” il colpevole, a riabilitarlo totalmente; e l’unica cosa in grado di fare questo è il perdono, che è amore applicato alla giustizia.

Questo ci deve far riflettere sul fatto che spesso scambiamo per valori cristiani cose che non lo sono. La giustizia – intesa secondo il mondo, ossia quella che si applica o si dovrebbe applicare e garantita nei tribunali – è ancora troppo povera per essere considerata un valore cristiano; manca, infatti, del concetto di perdono. Chi non sa perdonare non sa amare, e dunque non può entrare nella dimensione del regno dei cieli. Dovremmo ricordarci che solo il perdono può guarire alcune malattie dell’anima, perché solo l’amore guarisce il cuore dell’uomo.

La teologia della liberazione, condannata da Giovanni Paolo II, cadeva in questo errore degradando il cristianesimo a mero raggiungimento della giustizia sociale in difesa dei diritti civili. Ma il cristianesimo è molto di più: è la relazione con Cristo, che ci porta a benedire e ringraziare per ogni evento della nostra vita; questo, per il mondo, è folle, scandaloso, come ricorda san Paolo. Infatti durante la messa, nel Prefazio alla preghiera eucaristica II il sacerdote proclama: «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, ringraziare sempre e in ogni luogo». Il cristiano benedice sempre e in ogni luogo, e lo fa benedicendo la propria storia che, per quanto dolorosa possa essere, è il luogo in cui Dio vuole incontrarci. La benedizione della propria storia apre le porte alla resurrezione, che trasforma gli eventi di morte in esperienze di vita; ad esempio, porta chi ha perso un figlio a diventare genitore di molti orfani o chi ha abortito ad aiutare altre donne a scegliere la vita.

Ma per benedire e perdonare è necessario ricevere prima il perdono, perché non si può donare ciò che non si è ricevuto. Allora il cristiano è una persona che prima ha vissuto il perdono di Cristo, si è sentita amata da Dio nella sua povertà più bassa, e solo allora ha potuto perdonare a sua volta. È l’esperienza di Pietro che, sentendosi amare anche nel tradimento, ha potuto dare a propria volta la vita.

I santi sono peccatori perdonati.