5ª domenica di Quaresima Gv 8, 1-11

 
 

Dal peccato all’intimità con Dio –

a cura di Don Luciano Condina –

Nell’episodio dell’adultera perdonata Gesù, che sta insegnando nel tempio, interrogato da scribi e farisei, compie un gesto inconsueto: si mette a scrivere per terra con un dito. Il rimando è all’Antico Testamento e al dito di Dio che scrisse le dieci parole sulle tavole dell’alleanza.

Scribi e farisei tecnicamente sottopongono a Gesù un quesito di tipo legale; in realtà la domanda è subdola, poiché bisogna ricordare che la prassi di lapidare un’adultera era caduta in disuso da parecchio tempo. Sappiamo inoltre dalla storia che era inusuale e non praticata. Era un’indicazione di ordine sapienziale come molte altre leggi dell’Antico Testamento, richiedenti la condanna a morte, non portata a compimento. Gesù, quindi è posto di fronte a una domanda classica che si rivela un tranello: se rispondesse di lapidarla, gli direbbero che non si usa farlo per misericordia, rinfacciandogli il suo apparire misericordioso; se esortasse a non lapidarla, trasgredirebbe la legge di Mosè. Non esiste via d’uscita.

Ma Gesù risponde imboccando una strada inattesa, cambiando il piano del discorso; e comincia a scrivere per terra. Un’altra ipotesi suggestiva al riguardo è che Egli avesse cominciato ad annotare i peccati degli accusatori; ciò sarebbe in linea con il fatto che, in questo episodio, il Signore viene eletto dai farisei giudice della questione e, in quanto tale, comincia a giudicare anche gli accusatori, perché il giudice giusto emette giusta sentenza. Infatti, quando si condannava a morte qualcuno, bisognava scrivere la sentenza con il titulus, come avverrà anche per Gesù: Gesù nazareno re dei Giudei (Inri, conservato a Roma nella basilica della Santa Croce in Gerusalemme).

La risposta è sorprendente: «Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei» (8,7). Per la legge rabbinica la persona a dover scagliare la prima pietra era il testimone oculare del reato, che doveva assumersi la responsabilità dell’accusa. Ora, chi può dire veramente di aver visto e compreso il peccato altrui per poter giudicare chi l’ha compiuto? Chi ha un cuore puro, chi non ha un disturbo di visione, il disturbo del proprio peccato.

Abbiamo diritto di dire qualche cosa a qualcun altro solo nell’amore, fuori da ogni menzogna ed esclusivamente nella verità. Infatti i provocatori si allontanano uno per uno, cominciando dai più anziani, più peccatori dei giovani che vanno via per ultimi. La donna, finalmente sola con Gesù, nell’intimità con Lui può «non peccare più». Il peccato è distanza da Dio, intimità con cose o persone sbagliate. Quando torniamo all’intimità con il Padre, riscopriamo la condizione di figli e la pace del cuore. Gesù le dice: «Neanche io ti condanno» (Gv 8,11), che signica: “neppure io che sono senza peccato”. Dunque è assolta.

L’aspetto meraviglioso è che lei è l’unica a rientrare a casa perdonata, gli altri tornano da peccatori. Gesù ribalta sempre tutto, fa nuove tutte le cose (Ap 21,5). L’adultera, paradossalmente, è l’unica che torna pulita, liberata dal suo peccato, perdonata; gli altri devono ancora fare i conti con la loro povertà.

Come nel vangelo di domenica scorsa, anche in questo episodio possiamo cogliere come la nostra povertà sia la moneta che ci permette di acquistare la redenzione. La potenza di Dio non è rivolta alla punizione ma alla rinascita. Ciò che conta è vivere, riprendere a vivere, ricostruire invece di recriminare. Tanta gente resta tutta la vita a sottolineare i problemi disinteressandosi delle soluzioni. L’importante è ripartire, voltare pagina, rientrare nell’intimità con Dio.