4ª domenica di Quaresima Gv 9,1-41

 
 

Scopriamo la luce nella nostra missione –

a cura di Don Luciano Condina –

La quarta domenica di Quaresima è detta Laetare per il consueto momento liturgico di pausa gioiosa che interrompe i periodi di digiuno. È questa una delle due domeniche dell’anno liturgico in cui il colore dei paramenti può essere il rosa.

Il vangelo ci presenta l’episodio del cieco nato. La sua storia viene introdotta dall’angosciosa domanda del perché l’uomo abbia questa menomazione da quando è venuto alla luce. La mente dei discepoli (che simboleggia la nostra) cerca di capire la causa che sta dietro alla cecità: la menomazione, infatti, simboleggia tutti i nostri grandi mali privi di risposte. E dunque: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato così?» (Gv 9,2). È la perenne ricerca del colpevole.

Gesù rifiuta questo approccio e risponde: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché appaia in lui l’opera di Dio» (Gv 9,3). Il Signore non guarda alla causa, ma guarda al fine. È sorprendente il modo di lavorare di Dio, che prende le nostre povere cose e le finalizza alla bellezza; anche il male che noi compiamo, pienamente assunto nella croce, diventa strumento della nostra redenzione.

Scoprire il fine delle cose constatando che nella nostra vita alcune non le comprendiamo, scoprire che esiste un piano di Dio che può prenderle e finalizzarle al bene è il cuore di questo episodio evangelico. Allora per guarire il cieco, Gesù sputa per terra e impasta del fango con la polvere e la saliva: la polvere è la base della realtà, la saliva di Cristo è la sua parola e la sua parola viene messa, mischiata alla sua realtà, sulla parte malata dell’uomo che è la sua parte irrisolta.

Ci troviamo di fronte a una scena creazionale, perché Dio creò l’uomo con il fango: il Figlio arriva e lavora con il fango per portare a termine la creazione del Padre. Il cieco nato, uomo incompiuto – che rappresenta tutti noi perché ci manca ancora la possibilità di passare alla nuova creazione – viene condotto alla nuova creazione per mezzo di quello strano miscuglio: la parola di Cristo infusa nella realtà.

Ma affinché il non vedente giunga alla luce deve prima lavarsi nella piscina di Siloe (il termine significa “inviato”): si deve tuffare nella piscina di Colui che è inviato. Non a caso Gesù ha tenuto uno strano discorso sulla missione (Gv 9, 4-5): spiega che Egli è stato mandato e tutti noi dobbiamo compiere la sua opera; tuffarsi nella piscina dell’inviato, infatti, vuol dire assumersi la sua stessa opera. È scoprire di avere una missione e capire che le cose più oscure della nostra esistenza sono in funzione della missione che Cristo vuole affidarci, condividendola con noi. Gesù è stato chiamato e inviato dal Padre perché anche noi diventiamo, a nostra volta, “inviati.” La sorpresa è che le cose più tristi della nostra vita non si spiegano mai finché non ci andiamo a lavare nella piscina di Siloe. Quando iniziamo a pensare che le sofferenze vissute o in atto potrebbero servire a qualcuno e diventare la strada per mezzo della quale impariamo ad amare, la luce comincia ad apparire e scopriamo che tutto concorre a essere bagaglio della nostra missione, che ci rende “inviati” proprio come Gesù.

«Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono», annuncia Isaia (Is 42,16). Esiste qualcosa che non conosciamo, nascosta nei nostri dolori, negli enigmi della nostra vita. Questa realtà nascosta, questo mistero ci viene svelato quando finalmente accettiamo l’ipotesi di avere una missione, una chiamata: non c’è cristiano che non ne abbia. Un malato – ad esempio – può scoprire di avere la missione di amare e di offrire la propria malattia per tante persone.
Il cieco, non appena guarito, diventa simile a Cristo, perché sottoposto a qualcosa di molto strano, che lo porta lentamente ad assumere l’obbrobrio di Gesù: viene cacciato perché non nega ciò che gli è successo; e, pian piano, diventa come Gesù: escluso perché proclama la verità. Alla fine, dopo le tribolazioni vissute, il cieco raggiunge la luce piena, che non è semplicemente vedere le cose di questo mondo, ma vedere Dio, prostrandosi ad adorare il Signore Gesù.

Nel tempo della Quaresima dobbiamo vivere la nostra trasformazione per arrivare alla nostra missione, all’opera che ci rende simili a Cristo. L’uomo miracolato è partito dalla cecità per arrivare alla luce della sua missione e diventare testimone della Verità.

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