3ª domenica di Avvento

 
 

don Luciano Condina commenta il Vangelo di Lc 3,10-18

Solo Cristo può purificarci: lasciamolo fare

«Rallegrati figlia di Sion!», esordisce Sofonia nella prima lettura. Nella domenica Gaudete si interrompe il digiuno per ricordare la grandezza dell’evento che giunge – il Natale – e gioire per ciò che Dio vuole compiere con l’uomo.

Desta sconcerto aver ascoltato nei notiziari dei giorni passati che un documento interno dell’Unione europea del 2019 suggeriva di eliminare la parola “Natale” dalle comunicazioni ufficiali in nome dell’inclusività non discriminatoria, su cui il mainstream sta impostando la comunicazione globale; il documento è stato poi ritirato, ma solo perché i tempi non sono ritenuti maturi. E ciò è preoccupante.

Torniamo allora alla nostra gioia, quella che nessuno ci può togliere, frutto di quella parte migliore presentata e offerta da Gesù a Marta e Maria. 

Sapere che Dio con noi vuole operare qualcosa di grande ci interroga: «Cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10); è la domanda posta a Giovanni Battista dalle folle e dai pubblicani. Il fatto che ci siano anche questi ultimi è molto interessante, perché erano considerati al pari delle prostitute: una categoria sociale spregevole. Ciò significa che Dio può operare in tutti, nessuno escluso. Anzi, forse più è grande la propria miseria e più grande può essere la spinta ad accogliere Dio; per questo il vangelo si annuncia ai poveri, agli affamati, agli ultimi che hanno vite sgangherate: perché hanno fame e sono stanchi della loro miseria, che stona sempre più con quell’immagine di Dio che ogni uomo si porta dentro e che grida pienezza lungo tutta l’esistenza.

La risposta di Giovanni invita alla giustizia: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto»; ai pubblicani dice: «Non esigete nulla di più di quanto vi è fissato»; ai soldati: «Non estorcete niente a nessuno, accontentatevi delle vostre paghe» (Lc 3,11-14).

Il primo livello di conversione consiste, dunque, nel disporsi ad accogliere l’opera di Dio, cominciando a smettere di fare il male. La volontà di fare il bene, seppur insufficiente per ottenere la salvezza, avvia e innesca il processo verso di essa. Dio non può salvarmi senza che io faccia la mia parte, insufficiente – si vedano i 5 pani e 2 pesci – ma necessaria.

Per essere salvati occorre lasciarsi salvare: nessuno può farlo da solo e ciò inizia con il praticare la giustizia nelle cose semplici, piccole, immediate. A volte sogniamo di fare i missionari in giro per il mondo, di salvare migliaia di bambini poveri e poi non siamo capaci di risolvere il contenzioso col vicino di casa che dura da anni.

La bella notizia non consiste solo nello smettere di fare il male: questo piccolissimo punto di partenza può far scaturire un oceano di grazia che Cristo ci darà. Infatti Egli solo, con il ventilabro – ora tradotto con “pala” – possa arieggiare i chicchi di grano affinché la pula – ora tradotto con “paglia” – si separi da essa e venga bruciata dal fuoco (dello Spirito).

Solo Cristo può purificarci dalle parti meno nobili di noi e, perché possa farlo, dobbiamo renderci disponibili; dobbiamo entrare nell’aia dove avviene l’operazione: il luogo è la Chiesa, definita infatti come «la sua aia» (Lc 3,17), affinché, dopo la purificazione, il grano possa entrare nel «suo granaio», cioè la casa del Padre.

Seguiamo l’indicazione del Battista e predisponiamoci a ricevere la grazia.

Il possibile lo faccia l’uomo, all’impossibile pensa Dio.