33ª domenica tempo ordinario Lc 21,5-19

 
 

Dio conduce la nostra storia –

a cura di Don Luciano Condina –

Il vangelo di questa settimana parla di distruzione, devastazione, fine catastrofica: «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta» (Lc 21,6). La descrizione di Gesù, riferita al Tempio, riguarda ovviamente altri piani di lettura e di esistenza. Verranno giorni in cui di tutto quello che vediamo non sarà lasciata pietra su pietra, giorni in cui i nostri templi, costruiti spesso con immani fatiche fisiche, morali e spirituali, crolleranno implacabilmente.

È il tema della fine delle cose, di tutto ciò che costruiamo credendo possa essere immutabile e solido: la carriera, la ricchezza, gli affetti stessi dati per certi. Tutte le cose volgono al termine, sono in travaglio e vanno verso qualcosa di cui ignoriamo la dimensione. È angosciante che l’uomo debba confrontarsi con il fatto che le cose finiscono, che saranno distrutte. Questa cruda realtà sembra un colpo di accetta che pende sulla nostra esistenza e sulla bellezza delle cose, ma Gesù aggiunge che «quando sentirete parlare di guerre e rivoluzioni non vi terrorizzate» (Lc 21,9). Quando nella vita di una persona accade ciò che la obbliga a misurarsi con la distruzione e con il termine delle cose, non è quella la fine né il punto di arrivo, ma è una strada, un percorso.

«Badate di non lasciarvi ingannare” (Lc 21,8). Badiamo di non andare a casaccio, di non vivere le cose avendo perso la direzione; l’assenza del discernimento è un rischio concreto. Spesso, il problema nella nostra vita è non perdere la direzione: è più grave perdere questo piuttosto che sopportare una tribolazione, è vivibile se si capisce come orientarsi, altrimenti anche il più piccolo dolore diventa insopportabile.

Seguire Gesù implica ritrovarsi nell’instabilità, nel pieno di bufere inattese in cui non ci sono punti di riferimento sicuri: succede di portarsi addosso il peso, la colpa, i problemi della società, a trovare qualcuno che ci accusa, che ci calunnia, ci carica di responsabilità che non ci spettano; questo accade ai santi e ai costruttori del regno dei cieli. Il regno di questa terra si ribella, aggredisce e distrugge.

Quando Dio ci chiede di affrontare i problemi e la cattiveria umana, dobbiamo pensare che questa non è la distruzione né la fine, ma l’inizio di un’avventura, di una missione: un terremoto può essere chiamata all’amore, un’ingiustizia al perdono, un tribunale iniquo alla testimonianza. È inutile prepararsi prima alla difesa perché queste cose non si gestiscono mai come pensiamo. C’è chi passa la vita a rinserrarsi dentro i propri sistemi di sicurezza per evitare problemi, rimanendoci ingabbiato: è inutile prepararsi prima, perché in quel momento arriva la grazia propria per quella situazione. Essere traditi perfino da genitori, fratelli, parenti, amici, essere uccisi, odiati da tutti può far sì che troviamo la strada per salvare la vita che vale, perdere quella che non conta, ed entrare nel paradosso: «Sarete uccisi alcuni di voi, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (Lc 21, 16-17); che significa perdere la vita, ma non la salvezza in Gesù, in cui nemmeno un capello del capo resta irredento.

Viviamo nella certezza che Dio conduce la nostra storia, il fine ultimo delle cose in Lui è certo, in lui tutto ciò che ci accade è conservato.