11ª domenica tempo ordinario

Mc 4,
 
 
Mc 4,

don Luciano Condina commenta il Vangelo di Mc 4,26-34

Con le due parabole del seme e del granello di senape Gesù indica il parallelismo esistente tra la vita biologica e la vita spirituale. La logica della vita eterna è simile quella della vita biologica che, una volta seminata, dev’essere lasciata in pace affinché germogli. Inoltre, la vita che conosciamo avviene attraverso un’unica origine: per fecondazione. Accettare questo fatto e stare alle regole, curiosamente, non è così ovvio perché noi tendiamo a surrogare la vita in altri modi. Per esempio crediamo che le cose nascano dalla comprensione: crediamo di poter cambiare se capiamo che si deve cambiare, ma non è vero, perché capire è solo capire, cambiare vita è un altro paio di maniche. Così come non è vero che le cose nascano per decisione, forza di volontà o impegno.

«Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto» (Rm 7,15) afferma san Paolo. Ciò che si cambia con la sola forza di volontà, in genere, è roba di poca profondità. Non si può imporre a qualcuno un cambiamento di vita con l’obbligo, la paura oppure il dovere. Le cose di questo genere restano esterne: appena la minaccia o il senso di colpa decadono, tutto sbiadisce e torna come prima.

La vita, dunque, nasce per il dono di un seme e così è per la fede. Non per forza di volontà o per sensi di colpa. Il seme è fecondo se è di qualità e diventa fecondo quando è accolto nel terreno da un «sì» come quello pronunciato da Maria all’arcangelo Gabriele. Dunque nella qualità del seme e nell’accoglierlo risiede la dinamica della vita spirituale.

E questo seme, spontaneamente, «germoglia e cresce. Come, egli stesso non sa» (Mc 4,27). San Vincenzo de’ Paoli affermava che «le cose di Dio si fanno da sole», ossia procedono per inerzia celeste se assecondate, perché il bene ha una spinta mandata dal Padre con la stessa operatività che possiedono la pioggia e la neve, come indicato nel celeberrimo passo di Isaia 55, 10-11.

È importante capire se c’è questo seme divino nelle cose che facciamo, è fondamentale verificare se i nostri atti sono fecondati dalla Parola. Due fidanzati devono chiedersi: «Esiste un seme di Dio fra di noi? C’è una cosa che, spontaneamente, da sola, va verso il bene? O ci stiamo distruggendo reciprocamente mettendo insieme solo due egoismi? Siamo qualcosa che produce vita?».

Inoltre la vita nuova ha il suo ritmo. Non bisogna metterle fretta perché fa lei la sua strada: «prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco nella spiga» (Mc 4,28). E non bisogna valutare una pianta dalla grandezza del seme: c’è infatti un rapporto inaudito fra un seme di senape e un arbusto di senape, così come una quercia enorme nasce da una piccola ghianda. Le cose di Dio partono piccole e disprezzabili, ma sono nobili sin dall’inizio perché ogni cosa che è da Dio inizia ed è subito limpida. Le cose che non sono sue possono partire grandissime ma diventare poi un disastro. Le cose di Dio – come attesta il vangelo delle nozze di Cana – prevedono il dolce alla fine; partono piccole e diventano meravigliose, partono umili, umilianti, ridimensionanti e diventano serie, grandi e solide. Le cose che non sono di Dio partono invece in maniera eclatante, spettacolare e diventano deludenti, si corrompono, non vanno verso l’eternità ma verso la morte. Lasciamoci portare dalla sapienza di Dio nella nostra vita e non scoraggiamoci di fronte alle difficoltà. Nelle cose di Dio il meglio deve sempre ancora venire, per l’eternità.