LUMEN DE LUMINE

 
 

– l’angolo di don Alberto –

LUMEN DE LUMINE –

“Luce da luce”, così diciamo nel Credo della Messa. La formula è suggestiva, perché accende un interruttore. Senza la luce, essendo uomini e non gatti, saremmo fritti. La luce è visibilità e comprendonio. Se non ci vedessimo sarebbe anche più difficile comunicare e comprenderci. Ecco perché si sono inventati i videotelefoni. Ma quando si dice “lumen de lumine” non si pensa né alla luce del sole, né alla luce dell’Enel, ma a quella luce che è Dio. Splendido è Giovanni quando dice nella sua prima Lettera (1,5): «Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna». Notiamo il puntiglio: avrebbe già trasmesso il concetto anche solo affermando che Dio è luce, punto e basta. Ma precisa ulteriormente, a scanso d’equivoci, che in Lui non c’è tenebra alcuna. Il nostro occhio vede perché si esercita sui contrasti fra luce e ombra. Dove c’è solo luce, è tagliato fuori. Accettate quanto appena detto come teorema “teo-fisico” dell’invisibilità di Dio.

 

La liturgia capta la luce che è Dio e ne fa brillanti variazioni sul tema, nella preghiera terminale delle Lodi mattutine. Queste sono l’appuntamento aurorale della preghiera ufficiale della Chiesa, nota come Liturgia delle Ore. E’ una preghiera a base di salmi, cui si mescolano e aggiungono altri elementi di fabbricazione ecclesiastica, tutti molto belli, in specie le preghiere che adesso vediamo per opinabile campionatura. In tutto sono 24, non le cito per esteso perché questo foglio non basterebbe. Mi limito a riportare i passaggi più luminosi, nei quali è menzionata la luce divina, aggiungendovi qualche arabesco. Cominciamo.

  1. illumina con il tuo amore le profondità del nostro spirito. Luce e amore insieme. Si è ancora alla scuola di Giovanni, sempre nella prima Lettera, ove due volte (4,8.16) dice che Dio è amore. Amarsi senza vedersi è impresa più ardua che platonica. Eppure la liturgia possiede la santa spregiudicatezza di chiederci, non amore a prima vista, ma amore senza vista: amare Dio senza vederlo. La profondità evoca la tenebra (salmo 64,7; 130,1). Ben venga dunque la luce di Dio, che calata in noi prende il nome di grazia divina, a illuminare i nostri oscuri meandri interiori.
  2. ci hai reso figli della luce. Siamo al limite del paradosso. La luce può figliare? Non ovviamente in senso biologico. Ne diventiamo figli nella misura in cui prendiamo sul serio una luminescente esortazione di Gesù: «Risplenda la nostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
  3. Cristo, vera luce che non tramonta. Sentiamo echi del preconio pasquale, quello che si canta la notte di Pasqua. Il Cristo risorto «più non muore e con i segni della Passione vive immortale», dice il terzo prefazio di Pasqua.
  4. Con la luce del tuo Figlio, parola di verità, disperdi le tenebre dell’ignoranza. Gesù è via, verità e vita (cfr Gv 14,6). Anche nel nostro immaginario la verità si associa alla luce e la tenebra all’errore.
  5. Hai mandato a noi la luce vera che guida tutti gli uomini alla salvezza. Ancora si ribadisce la verità della luce soprannaturale. Questa luce ha un nome: Vangelo.
  6. Risplenda su di noi, Signore, la luce della tua sapienza.Sta bene a dicembre, il mese del Natale. Nel Vangelo della Messa notturna si legge: «Un angelo del Signore si presentò a loro[i pastori]e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). Gli angeli sono una specie di riflettori divini che non brillano di luce propria ma riverberano quella di Dio.
  7. O Dio, vera luce e sorgente della luce.Ecco, con parole meno flemmatiche, il detto “luce da luce” da cui siamo partiti. Non possiamo dire che la liturgia si ripeta, perché non la troviamo in fotocopia, ma ama talora citarsi.
  8. Illumina i nostri sensi con la luce del tuo Spirito. I nostri sensi possono indurci a deragliamenti di cui poi ci pentiamo. Non così se funzionano sotto la luce dello Spirito Santo. A Pentecoste si canta accende lumen sensibus. (= accendi la luce ai sensi). In prosecuzione tematica, al secondo verso del medesimo inno (è il Veni Creator): mentes tuorum visita (= vieni a trovare il cervello dei tuoi discepoli). Tutti ne abbiamo un gran bisogno. Questo versetto latino era scritto sulla porta della cappella del manicomio di Vercelli. Sta bene in molti altri posti!

 

Ho voluto accendere tutte queste “lampadine liturgiche” perché siamo sotto Natale. Non prendiamo abbagli! La luce del Natale non è quella delle luminarie, per quanto innocue, simpatiche e festose. La vera luce natalizia è il Figlio di Dio che si fa uomo. La liturgia lo celebra con espressioni sfavillanti, che palesano tutta la loro bellezza se lette in latino. Ma anche in italiano ce la fanno a raddrizzare i nostri pensieri verso il Natale, quello vero e correttamente inteso. Mi limito a citarne la parte centrale del prefazio (detta embolismo):

 

Nel mistero del Verbo incarnato \ è apparsa agli occhi della nostra mente \ la luce nuova del tuo fulgore, \ perché conoscendo Dio visibilmente, \ per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili.

 

“Siamo rapiti”, è bellissimo. Dà l’idea del profeta Elia rapito verso il cielo da carro e cavalli di fuoco. Non si dice semplicemente “siamo rapiti alle realtà invisibili”. Sarebbe pretendere troppo. Finché siamo in questa valle di lacrime dobbiamo lacrimare (ma cerchiamo di non esagerare con la lacrimazione). Si dice invece “siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili”. Ossia dobbiamo addestrarci sin da ora ad amarle progettando verso di loro la nostra vita, non sempre esaltante, in modo da poterle un giorno raggiungere. Il Natale è un movimento in andata e ritorno: il Figlio di Dio scende fra noi per darci una spinta verso Dio Padre.

Se riusciamo a installare questo pensiero nella nostra labile mente, tutto il resto passa in secondo piano, comprese le nostre grane e fra queste pure la devastazione della Madonna della Fontana (che peraltro vogliamo rimettere in sesto).

Bellissima la preghiera della Messa della notte di Natale:

 

O Dio … hai illuminato questa santissima notte \ con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo.

 

Sentiamo la maestosità cosmica di un’aurora boreale (che per vero dire non ho mai visto). Laddove arriva la luce la tenebra arretra. Laddove arriva la “luce intellettual piena d’amore” (Dante) i nostri cupi subbugli interiori, le nostre angosce, i tarli mentali delle nostre fracassate meningi, si placano e non resta altro che godere una parte infinitesima (per adesso) di questa luce, sperando un giorno di goderla in pienezza (salvi incidenti di percorso che possono dipendere solo da noi).

A conclusione, a mo’ di viatico natalizio, non si può non citare il prologo del Vangelo di Giovanni (1,9): «Veniva nel modo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Detto globalmente e distributivamente: tutta per ognuno. Prodigioso per noi, obbligati a tagliare il panettone a fette, perché tutti ne possano avere un pezzo, ma non ciascuno l’intero panettone.

Mons. Alberto Albertazzi