II domenica tempo ordinario Gv 1,29-34

 
 

– Ecco l’Agnello di Dio!  –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

Solenne, maestosa, enigmatica forma di benvenuto, quella di Giovanni a Gesù: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Il Battista sembra persino rimpicciolirsi dinanzi a Gesù. Amministrava un battesimo di penitenza, ma sostanzialmente inefficace, perché non così abrasivo da eliminare radicalmente il peccato del mondo. «Il peccato»: è un singolare complessivo, ben più totalizzante che la formulazione plurale che si è travasata nella liturgia della messa, a un passo dalla comunione.

 

Il plurale infatti centellina i peccati uno per uno, il singolare invece li stermina nella loro radicale globalità. Inoltre il verbo greco reso con «toglie» ha la sfumatura di «prendere su di sé», tanto che Paolo (2 Cor 5,21), con la sua spregiudicatezza teologale, azzarda: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio».
Gesù e Giovanni erano cugini, non si sa in che grado, eppure non si conoscevano. Forse perché Giovanni precocemente ha preso la via di penitente clandestinità del deserto. Quando vede profilarsi dinanzi a sé Gesù, capisce a fondo il proprio ruolo: non è venuto soltanto per siglare con il battesimo intenzioni penitenziali della sua “clientela”, ma soprattutto «perché egli [Gesù] fosse manifestato a Israele» in una circostanza battesimale di ampio richiamo. E in tal modo l’azione del Battista si configura come segnaletica dell’Agnello di Dio.
Questa è una dizione tecnica che assorbe in sé un vigoroso e drammatico passo di Isaia (52,13-53,12), delineante le sovrumane prerogative salvifiche di un agnello taciturno, mansueto e malmenato. E si ritorna alla teologale epifania del battesimo di Gesù, non descritta nell’accadimento ma narrata dal Battista che ne fu attonito spettatore. Aveva infatti contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.  Non è stato soltanto un occasionale svolazzamento colombino ma una permanenza stabile evocativa di Is 61,1.  Giovanni ribadisce, quasi con irritata ostinazione, che non conosceva il personaggio su cui atterrò la colomba spirituale. A lui deve passare la staffetta del battesimo: «Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo».
Ce n’è quanto basta perché risuoni nel vangelo di Giovanni la prima professione di fede in Gesù Cristo: «E io ho visto e ho testimoniato che questo è il Figlio di Dio».  Altre seguiranno scaturite da schiacciante evidenza: quella di Natanaele (1,49) e quella di Pietro (6,69). E in tal modo Giovanni Battista si qualifica come gran pioniere del Nuovo Testamento. Dà infatti a Gesù l’imbeccata dell’annuncio (Mt 3,2), ripresa da questi in fotocopia in Mt 4,17. Ed è pure matrice delle professioni di fede cristologiche di cui è punteggiato il vangelo di Giovanni.
Ma il Battista ha fatto il suo tempo: a partire dalla prossima domenica la scena sarà dominata da Gesù, che ben presto si librerà in proprio scrosciando le otto splendide beatitudini classiche, e a Giovanni non resterà altro che rannicchiarsi su se stesso (Gv 3,30) in attesa che la sua testa decapitata finisca su un macabro vassoio (Mc 6,28).