sabato 11 Paolo Solidani Diacono Permanente

Concluso
  • Inizia (mm/gg/aaaa):
    11 Aprile 2015, 09:00
  • Termina (mm/gg/aaaa):
    11 Aprile 2015, 23:00
 
 

Paolo Solidani, 57 anni,  ufficiale dell’esercito esperto di logistica, sposato con Maria Pia Portas, due figli, Elena e Bruno, sabato 11 aprile sarà ordinato diacono della Chiesa eusebiana, dov’è ormai “incardinato” dal 2006.

La consacrazione avverrà per mano dell’arcivescovo mons. Marco Arnolfo durante la messa delle 16 in cattedrale di Vercelli.
Chi è Paolo Solidani?
«Chi ero e chi sono ora – tiene a precisare – Sono sempre stato vicino alla spiritualità della Chiesa, ho sempre frequentato l’ambiente di Comunione e Liberazione.

La metamorfosi è avvenuta quando ho capito che la mia vita era, come posso dire, sdoppiata in due: il momento in cui ero Paolo Solidani, assorbito dal lavoro, da cui pensavo di trarre tante risposte, e l’uomo di fede.

Fino a quando mi sono chiesto: ma è questo che voglio dalla vita? E mi sono reso conto, drammaticamente, di no. È stata proprio la fede a “trascinarmi” verso il nuovo Paolo Solidani diventando  inscindibilmente parte della mia vita. Perché la fede è una realtà vivente, un’esperienza che insegna a fare discernimento».
Com’è nata la vocazione al diaconato?
«È nata il giorno dei funerali di mons.  Luigi Giussani (fondatore di Comunione e Liberazione, ndr). Non ci volevo andare, pressato com’ero di domande interiori. Mia moglie mi sollecitò. Faceva freddo, pioveva, ero inzuppato come un pulcino e… distratto. Fino a quando non presero la parola il card. Dionigi Tettamanzi, del quale, in seguito, sono andato a ripescare le parole, e il card. Joseph Ratzinger, una “corazzata” pensai dentro di me, prevenuto.

Non ci avrei capito niente. Invece… Mi bruciò profondamente dall’esordio: “Giussani amava la bellezza. A casa sua c’era poco pane ma tanto amore per la bellezza, che il padre trasformava in musica, la madre in cultura… Mi accorsi che quella stessa bellezza l’avevo avuta di fronte anch’io e non me n’ero accorto. Al passaggio del feretro di don Giussani pensai: ti ho sempre avuto a portata di mano eppure mi sono perso qualcosa.

Come avere un bel libro senza mai leggerlo. Riflettei molto su questa situazione una volta tornato a casa. E accadde che gli amici del Banco alimentare, lasciati un po’ da parte  anni prima, vennero a cercarmi e mi reinserirono subito nei turni di volontariato. Questo mi colpì. Pensai che non fosse solo un gesto di amicizia, ma un atto della Provvidenza che si era manifestata attraverso quelle persone.

Cristo mi aveva “raccolto”, facendomi tornare a vivere impegni precedenti ma in modo così forte e nuovo che non volli più allontanarmi da quella realtà. E decisi di legarmi ancora più saldamente alla Chiesa attraverso il diaconato, perché era nato in me il desiderio di restituire almeno un po’ dell’amore provvidenziale che mi era caduto addosso. Sentivo e sento tutt’oggi di rispondere al progetto di Dio».
La sua vocazione è diventata risposta. Di tutta la famiglia. Come l’hanno presa?
«Mia moglie aveva percepito che mi ero allontanato lentamente dalla Chiesa e che poi tornavo a riavvicinarmi. I figli invece sono rimasti spiazzati. Anche perché non avevano idea di cosa comportasse il diaconato permanente.

Poi hanno cominciato a comprendere ed è diventato un percorso di famiglia, al quale Elena e Bruno hanno dato un senso e il loro contributo personale. Il diacono ha una missione nella famiglia e se vive serenamente la vocazione al suo interno, tanto più lo darà all’esterno, restituendo ciò che riceve. Per me non si è trattato di una folgorazione sulla via di Damasco, ma di un percorso, in cui Cristo mi ha accompagnato passo dopo passo».
Per arrivare finalmente alla tappa di un cammino che apre a nuovi orizzonti. C’è un po’ di emozione?
«C’è molta emozione, c’è senso di responsabilità, perché il mio interlocutore è Dio stesso. Mi affido alle sue braccia, mi pongo al suo servizio, ma mi interrogo: sarò in grado, riuscirò… e alla fine mi ripeto che per essere santi, non dobbiamo compiere gesti eroici: dobbiamo invece essere umili e avere fiducia nel Signore. Questo pensiero l’ho fatto mio».
Guardando avanti cosa vede e cosa si aspetta?
«In questo momento sono molto carico; sono come un elastico pronto a restituire tutta la forza accumulata. Mi aspetto di lavorare. Sono pronto a donarmi. Chiedo di poter esprimere il dono della mia vocazione all’interno e al servizio della Chiesa eusebiana, in mezzo alle persone di ogni età e categoria, ovunque ci sia bisogno».
Ilde Lorenzola – Corriere Eusebiano del 28 marzo 2015