DIO E L’ARCHITETTURA l’angolo di don Alberto

 
 

Qualcuno sostiene che l’architettura sia la più nobile e illustre di tutte le arti e anche la prima a configurarsi fra i ritrovati umani. Reputo che l’uomo abbia avvertito la necessità di avere un tetto sulla testa ben prima di scrivere poesie per la morosa, avviandosi così a essere letterato.

E in un tetto purchessia si intravede l’abbozzo di un’architettura nascente, che si è andata via via affinando, perfezionando, imponendo, ingigantendo sino a produrre quei monumenti d’arte che sono uno dei vanti d’Italia. I tempi sono stati lunghi dal troglodita a Brunelleschi, ma i risultati si vedono e apprezzano. Tanto di cappello dunque alla geniale architettura umana, anche se recentemente tende a diventare un po’ cervellotica…

Ma esiste anche un’architettura divina. Ho l’impudenza di citarmi, riportando un pezzo di articolo che fu pubblicato sulla rivista nazionale del CAI (1992) a commemorazione (150° anno) della conquista della punta Gnifetti del Monte Rosa (m. 4559) da parte dell’omonimo parroco di Alagna che vi scarpinò fino in cima il 9 agosto 1842. Mi è tornato in mente questo scritto perché di recente sono andato a passeggio sul Monte Rosa. Mi cito dunque:

«Quassù (punta Gnifetti, ndr) si realizza il detto oraziano sublimi feriam sidera vertice (= con la testa toccherò le stelle). La vista è smisurata e impressionante: sotto i piedi sprofonda il baratro di Alagna. Poco più in là l’abisso di Macugnaga, insondabile e precipite. Fra i due sale con concitate ondulazioni rocciose la superba cresta Signal. E tutt’intorno montagne e montagne a perdita d’occhio.

Il Creatore si è fabbricato le sue cattedrali ben prima che ci pensassero gli uomini. Il Monte Bianco, tutto picchi, guglie e frastagli, si è soliti paragonarlo ingenuamente a una cattedrale gotica. Il Rosa invece, nella sua possanza geologica, avido nel rastremare a sé le valli che a lui salgono a raggera, fa venire in mente una cattedrale romanica. C’è una differenza fra una cattedrale e un monte. Se osservi la fiancata di una cattedrale non ti è difficile immaginare l’altra. La montagna invece ti offre sorprese e novità a ogni svolta. L’uomo è un architetto prevedibile. Il Creatore invece è un architetto imprevedibile.

Si legge che il filosofo tedesco Hegel († 1831) si fosse concesso una vacanza nelle Alpi bernesi: a Grindelwald (se ben ricordo), sotto il cupo incombere della parete nord dell’Eiger, e avrebbe bofonchiato: “Non capisco come tanta gente possa esaltarsi alla vista di queste masse irrazionali e amorfe”. O qualcosa di simile.

Il teorico dell’identificazione fra reale e razionale sarebbe giunto in questo modo a pronunciare l’irrealtà della montagna, andando forse più vicino al vero di quanto pensasse: perché lo scenario alpino, visto col giusto occhio, si colloca a metà strada fra realtà e sogno. E neppure l’aggettivo amorfo suona stonato: è un leale e non offensivo riconoscimento della differenza.

Per l’intelletto umano, in grado di capacitarsi soltanto di perimetri geometrici, le delineazioni e i profili montani sembrano avere qualcosa di trascendente. Qui forse Rosmini avrebbe visto tracce “del divino nella natura”».

Mons. Alberto Albertazzi